Ventris tui

Ventris tui è una performance che unisce diverse arti e forme di comunicazione: danza, recitazione, canto, musica, testimonianza, giornalismo, arte.
L’idea nasce da una riflessione sul mistero della nascita, in particolare “la” nascita: quella che ha diviso il tempo in due parti, quella che festeggiamo con gioia pur avendo in sé stessa un seme di sofferenza dettato dalla povertà di una grotta, dalla disperazione di un’immediata condizione di esule e profugo, quella della non-accettazione.
Eppure quella “Maria” che racchiude in sé il mistero tutto femminile del potere di generare, sottolineato ancor più da una mancata partecipazione umana, trova il suo corrispettivo continuo nel mito, nella storia, nell’attualità.
Quel momento di “nascita” da donna, in condizione difficile di “ultima”, solitaria, si ripete da secoli, creando così un topos letterario e religioso che non esclude, però, risvolti ancora attuali che meravigliano, laddove dovrebbe scandalizzare.
Accanto a Maria, dunque, c’è la mitica Danae rinchiusa in una cassa e abbandonata sul mare: in entrambi i casi il timore nasce per ciò che il figlio potrà fare, ciò che può fare il diverso, lo straniero; accanto a Maria e Danae c’è l’attuale Stephanie, che partorisce il figlio durante un viaggio in mare, scappando dalla sua terra d’origine, in un contesto di pericolo e clandestinità; accanto a Maria, Danae e Stephanie c’è, infine, Ketty, nata nel tunnel borbonico, diventato un rifugio durante le seconda guerra mondiale.

Proprio quest’ultima storia è alla base della scelta della location: il tunnel borbonico che, quella notte, diventò una grotta.
Un altro Natale è quello visto da dentro, quello che fuori festeggiano come luce, ma che nasca dal buio della sofferenza, dell’abbandono, del pericolo, quasi a voler significare che solo chi sperimenta le tenebre e cade nel fondo, alla fine riesce a generare una grande luce, capace di cambiare la propria storia e, perché no, la storia.
Questa dicotomia si riflette nella location scelta: un tunnel, la grotta, capace di ricordare il ventre di donna, il fondo che si tocca con la sofferenza, risuonerà, al termine della performance di luce. La grotta sarà abitata da quelle donne che racconteranno la propria storia, che genereranno e nasceranno ancora una volta. La grotta ospiterà le ultime della storia e del mito che oggi sono note grazie al loro Natale diverso. Il tunnel, che si trova nel ventre di Napoli, chiaro riferimento a Matilde Serao, diventa una grotta, un ventre di donna, il ventre degli ultimi.

Quattro, dunque, le voci: Danae, Maria, Stephanie e Ketty. I testi che fanno da ispirazione ai diversi quadri sono tratti dai Vangeli, dall’autore greco Simonide, dalla giornalista Merlino, dalla testimonianza raccontata della signora Ketty.

L’originalità della performance risiede anche nella frammentarietà: l’illusione scenica viene spezzata continuamente da interventi, testimonianze, notizie, per voler sottolineare quanto il mito e la storia, l’invenzione e la verità, la tradizione e l’attualità non siano poi così lontane.